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martedì 16 gennaio 2018

Attenti al disastro ambientale: affonda la Sanchi


Dopo poco meno di una decina di giorni, vissuti in balia delle fiamme e delle ripetute esplosioni, la petroliera iraniana Sanchi è affondata nelle acque del mar Cinese orientale.


Lo scorso sei gennaio, la nave battente bandiera panamense che trasportava il combustibile dall'iran alla Corea del Sud, era venuta in collisione con il mercantile Cf Crystal a centosessanta miglia al largo di Shanghai. 
Quest'ultima, registrata ad Hong Kong, era intenta a trasportare cereali verso gli Stati Uniti quando, l'incredibile scontro aveva gettato nel panico i marinai dell'una e dell'altra imbarcazione. 
Con tutti i marinai del mercantile tratti in salvo, le autorità di soccorso locali avevano rinunciato alla possibilità di salvare i trentadue membri dell'equipaggio della Sanchi. Fredde e coincise le parole rilasciate dal portavoce dei soccorritori iraniani presenti sul posto, Mohammad Rastad, il quale ha palesato l'impossibilità di trovare dei superstiti tra gli occupanti della petroliera. Secondo le testimonianze di chi era sul posto, l'equipaggio sarebbe morto poco dopo lo schianto a causa delle perdite di gas e delle esplosioni; le alte temperature registrate sulla nave affondata hanno reso poi impossibile qualsiasi soccorso.
Il condensato ultraleggero fuoriuscito dopo l'incidente e riversatosi in mare, coprirebbe circa un chilometro quadrato di acque, dove la chiazza di petrolio continuerebbe ancora adesso a bruciare mentre, gli idrocarburi presenti "volatili e per questo facilmente dispersibili nell'atmosfera" secondo gli esperti, si sarebbero allargati in un'area di circa dieci chilometri.
Nonostante siano ancora in corso le indagini per far luce sull'accaduto, le cui dinamiche sono ancora tutte da decifrare, ad oggi il rischio più concreto è quello del disastro ambientale: la nave iraniana trasportava oltre centotrentaseimila tonnellate di petrolio. Ed è così che per l'ennesima volta, Madre Natura paga per gli errori dei suoi figli.


-Scritto da A-

martedì 28 novembre 2017

Il terrore attorno al vulcano Agung

Non accenna a diminuire il grado di terrore che incombe da alcuni giorni sulla popolazione indonesiana. 


Sono infatti giornate all'insegna della paura quelle a cui gli abitanti ed i turisti residenti nell'isola di Bali sono sottoposti. 
Il vulcano Agung, la cui ultima eruzione è datata 1963, sta eruttando oramai da settimane nubi di ceneri bianco-grigiastre, capaci di raggiungere altitudini vicine ai novemila metri. Sono decine di migliaia le persone a cui le autorità locali hanno fatto pervenire l'ordine di evacuazione, anche a causa dell'espansione dell'area di rischio intorno al vulcano, portata da sette a dieci chilometri. 
Secondo Sutopo Purwo Nugrodo, portavoce del governo indonesiano, l'estensione la zona interessata dalla più che probabile eruzione coinvolgerebbe oltre ventidue villaggi. D'altro canto, più di quarantamila persone hanno già abbandonato le proprie abitazioni, numero che malauguratamente nelle prossime ore è destinato ad aumentare. 
Con gli aeroporti chiusi, sono decine di migliaia i turisti rimasti bloccati sull'isola, tutto mentre all'interno del cratere vulcanico si sta accumulando la lava, destinata nelle prossime giornate ad esser espulsa dal monte Agung sotto forma di violenta eruzione.
A render ancor di più drammatica la situazione, vi stanno pensando le piogge torrenziali che, come ogni anno nella stagione dei monsoni si abbattono sullo stato asiatico. Dalle pendici del vulcano infatti, stanno scendendo lunghe colate di fango e detriti i quali sempre più velocemente si abbatteranno sui villaggi nelle zone limitrofe.


                                                     -Scritto da A-   

mercoledì 16 agosto 2017

Sierra Leone e Nepal: agli opposti del mondo con gli stessi problemi


E' devastante il risultato delle forti piogge che nei giorni scorsi si sono abbattute con violenza in Sierra Leone.


Le prime ottimistiche stime calcolano che almeno trecentododici persone, di cui almeno sessanta bambini, residenti nella capitale Freetown, avrebbero perso la vita a seguito delle alluvioni e delle frane che hanno colpito il paese.
La Croce Rossa e le autorità locali hanno poi reso noto come il bilancio sia ancora provvisorio. Le piogge torrenziali che negli scorsi giorni hanno causato smottamenti e inondazioni, avrebbero lasciato strascichi importanti nella capitale, dove oltre duemila persone sono ora senza un tetto sopra la testa.
Nella città infatti, numerose abitazioni sono state devastate da autentiche colate di fango, mentre le strade si sono trasformate in fiumi d'acqua e detriti.
Sempre secondo le testimonianze locali, sarebbe stata una parete collinare del quartiere di Regent Hill a franare a causa della deforestazione selvaggia che imperversa nel paese.
La capitale dello stato africano, non è certamente nuova a questo tipo di calamità. Già nel 2015 una seria inondazione causo la tragica dipartita di una decina di persone, costringendo altre migliaia ad abbandonare le proprie abitazioni.
Pur essendo il periodo delle piogge, la sovrappopolazione della città e la violenza degli acquazzoni, ha colto completamente impreparati gli abitanti, ora senza una dimora e con il terrore che tutto ciò possa ricapitare.


Non va meglio in Nepal
La situazione non è delle migliori neppure in Nepal, dove le piogge monsoniche forti ed ininterrotte, hanno causato inondazioni responsabili di gravi danni in diverse località del paese.
Il ministro dell'interno, visto la larga entità del cataclisma, ha diramato lo stato di emergenza; fiumi straripati, frane e smottamenti sono stati segnalati in diverse aree: dal Sunsari al Morang, dal Rautahat al Sauraha.
Secondo i primi provvisori bilanci delle autorità nepalesi, sarebbero almeno quarantasette i morti, diciassette i feriti e trentasei i dispersi. Una catastrofe che si ripercuote sullo stato asiatico ancora scosso dal terribile terremoto che nell'aprile di due anni fa costò la vita a ottomila persone.
Le zone più colpite dall'alluvione sono spesso frequentate da turisti stranieri, i quali sono stati messi in salvo dalle forze dell'ordine che per l'occasione, vista l'impossibilità di far atterrare gli elicotteri e la scarsità di mezzi fluviali, hanno impiegato un atipico mezzo di soccorso: un gruppo di elefanti.

                                                   -Scritto da A-

martedì 20 giugno 2017

Quando la natura si scatena...



Pedrogao grande (Portogallo), 17 giugno 2017
Sono giorni intensi e di paura quelli che stanno trascorrendo in Portogallo.
E dallo scorso sabato infatti, che un violento incendio boschivo infuria nella zona di Pedrogao Grande, continuando a mietere vittime e a provocare distruzione.



L'incendio ad oggi ancora non ancora domato, nonostante l'impiego sul posto di oltre un migliaio di pompieri, ha portato via la vita a sessantatre persone (di cui almeno quattro bambini), la maggior parte carbonizzate in auto senza quasi rendersi conto di ciò che stava loro capitando. La conta dei feriti è al momento di centotrentacinque di cui cinque verserebbero in gravi condizioni.
A causa delle elevatissime temperature raggiunte nel weekend e del forte vento dei giorni scorsi, l'incendio si è propagato rapidissimamente nelle zone antistanti di Coimbra e Castelo Branco.
Come riportato dalle autorità locali, alla base dell'incendio vi sarebbe un fulmine abbattutosi su un tronco rinsecchito; esclusa ad ora la pista dolosa, seppure si dovrà attendere l'esito delle indagini per aver una maggior chiarezza sulle dinamiche.
Mentre la protezione civile innalza al livello massimo l'allerta incendio nel centro del paese lusitano, giungono aiuti aerei e via terra da Spagna, Italia e Francia.
Sale il cordoglio per le persone tragicamente scomparse come riportato dallo stesso presidente Marcelo Rebelo de Sousa, ancora sotto shock dopo quella che a tutti gli effetti si presenta come la più drammatica catastrofe della storia portoghese.

Nuugaatsiag (Groenlandia), 18 giugno 2017
E' di quattro dispersi e nove feriti il bilancio del violento tsunami che nella giornata di domenica diciotto giugno si è abbattuto sulla costa occidentale della Groenlandia, di fronte alle coste canadesi.



Il maremoto che ha completamente devastato il piccolo villaggio di Nuugaatsiag (situato in un'isola della baia di Baffin), ha colto completamente impreparata la popolazione, seminando panico e distruzione. Residuali se non pressoché nulle le speranze di ritrovar vivi i dispersi, visto e considerando la temperatura glaciale delle acque.
E mentre il regno di Danimarca proclama il lutto nazionale, gli esperti concordano nell'asserire la seria possibilità di nuove e potenti onde anomale.
Ancora incerte le cause della catastrofe; secondo la sismologa del Natural Resources Canada Allison Bent, dietro al maremoto vi sarebbe un terremoto di magnitudo 4.1 registrato nella zona antistante al villaggio devastato.
Nelle scorse ore si è convenuto nel determinare come causa dello tsunami, una frana sottomarina che avrebbe innescato il tutto provocando inoltre il terremoto registrato dai sismologi.
Evacuata la popolazione.

                                         -Scritto da A-